Antonio Mancini ex boss della Magliana: “Come sono diventato un bandito”

Chiamai Antonio Mancini, ex boss e fondatore della banda della Magliana, un freddo pomeriggio di un sabato qualunque.

Era il 2016. Avevo ventiquattro anni. Quelli dai 20 ai 25 sono gli anni in cui tutti ti chiedono cosa vuoi diventare da grande, perché di fatto – grande – lo sei diventato senza neanche accorgertene.

Il problema è che spesso non lo sai, e questo non sarebbe neanche un vero problema. La crisi comincia quando neanche lo immagini. Quando non ti ci vedi proprio a camminare per un ufficio in giacca e cravatta, a pensare che nel lavoro vale tutto come ti dicono da quando sei bambino, a immaginarti come un sacco di organi che penzola a destra e a sinistra fino a fine giornata.

A quel punto della mia vita l’unica cosa che mi interessava era esprimere me stesso e la mia percezione del mondo attraverso la scrittura, utilizzando storie al limite del reale come scenari di mondi in cui mi rifugiavo, forse per sentirmi meno solo.

Uno di quei mondi era quello della criminalità e i personaggi che lo abitavano. Supereroi al contrario. Demoni. Villain, diremmo oggi. Eppure, come ogni cattivo che si rispetti, anche affascinanti, fascinosi, con un loro codice.

Il mondo dei cattivi mi affascina da sempre, e dopo anni di studi sulla criminalità organizzata mi dissi: “Perché non parlare con uno di loro?”

Il primo contatto con Antonio Mancini lo ebbi su Facebook. Semplicemente, gli scrissi. Gli spiegai che eravamo 4, 5 ragazzi della periferia Napoli-Nord di Napoli e che mi sarebbe piaciuto esplorare con lui il mondo di mezzo, tra i finti buoni e i veri cattivi e viceversa.

Ricordo che mi disse che a Napoli ci era stato parecchie volte. Che conosceva molto bene Scampia.

Mi diede immediatamente l’ok per sentirci al telefono e farci questa chiacchierata, ma a una condizione: “Raffaè, nun me chiede’ niente del Romanzo Criminale e di quelle altre stronzate”.

E alla fine il nostro appuntamento, di quel sabato pomeriggio uggioso, arrivò.

Antonio Mancini, perché sei diventato un bandito?

Per colpa del Dado Star. Mo’ te spiego.

Pensa che io non sono stato mai bocciato. C’è una particolarità nella mia pagella, pagella che conservo ancora: educazione morale e civica voto 9. Qualche giornalista si è sorpreso di questo. “Se eri un ragazzino così preciso, come che sei diventato un ladro?” mi hanno chiesto. Il fatto è che mio padre decise di trasferirsi dall’Abruzzo – io sono nato in un paesino vicino Pescara – a Roma, più precisamente a San Basilio, ‘na borgata di comunisti. In quella borgata notavo una cosa particolare: le persone erano divise in due blocchi. C’era il blocco di mio padre, tipo gli operai che si alzavano presto e che si facevano mazzo così. E dall’altra parte c’era un altro blocco: gente che si alzava tardi e che erano ben vestiti. Sai, belle macchine, belle donne, cose belle ben in vista. Queste persone a un certo punto sparivano. Io mi chiedevano ma chi cazzo sono? Scoprii che erano i ladri. Noi che veniamo delle periferie a un certo punto lanciamo una monetina ideale secondo me. A me uscì testa, la parte sbagliata, e da quel momento iniziai a rubare.

Qual è stata la prima cosa che hai rubato?

Rubai una lambretta, ma durò poco. Tre ragazzini su una lambretta… fummo notati immediatamente e ci portarono in commissariato. Pensa che per un po’ lavoricchiai pure. Una cosa divertente era che, quando noi de San Basilio cercavamo un lavoro e leggevamo “Cercasi ragazzo” fuori alle vetrine dei negozi, entravamo nei negozi e ci dicevano subito di sì, perché eravamo ragazzini svegli. Di dove sei? mi chiedeva. E lì cambiava musica. Diceva che c’aveva già uno in prova e cazzate del genere. E la cosa ancora più divertente sai qual è? E’ che trenta anni dopo leggo l’intervista ad Alessandro Mannarino sul Fatto Quotidiano, e sai la madre che gli diceva? “Alessà, non dire che sei di San Basilio, altrimenti nessuno te prende a lavorà”. Le cose non cambiano manco per un cazzo. Questa è la realtà. E quindi a mangià tutte le sere il Dado Star poi a un certo punto te scassi il cazzo. Dopo la lambretta rubammo una macchina. Andammo da un vecchio ladrone e gli chiedemmo consiglio. Ci disse: “io nun ve lo dovrei di’, però siccome ho cominciato all’età vostra, il vostro può essere solo un gioco del cazzo, oppure a un certo punto vi convincerete e andrete fino in fondo.” Sai quando mi convinsi che volevo andare fino in fondo? Quando mi menavano. Mio fratello… mio fratello mi menava più forte delle guardie! E poi anche loro, le guardie, buttavano mazzate pesanti, ma a me non importava. Avevo scelto di fare il bandito.

E poi?

Poi arrivai alle rapine. Facevo parte di uno dei gruppi più agguerriti a Roma. In romanzo criminale si parla di un certo Puma, invece nella realtà se chiamava Er Pantera. Un cervello fine. Davvero bravo. Un buon ladro. Facevo parte della sua organizzazione, della sua batteria insomma. Iniziai a vedere molti soldi e quando vedi molti soldi vai fuori con la testa e non ci capisci più niente. Siccome nella malavita è come nel calcio, ci sono i talent-scout, si iniziò a parlare di me e, nel frattempo, Il Pantera aveva deciso di organizzare un gruppo di ladri con i migliori ragazzi giovani di ogni borgata. Eravamo partiti con le rapine, come te dicevo prima, e siamo finiti ad avere contatti con i Calabresi, con Milano, con tutti. Poi fui arrestato per una rapina molto grossa a un’azienda importante, la Montedison, nel loro stabilimento in Abruzzo. E da lì è cambiato tutto.

Com’è stata l’esperienza carceraria?

Una merda! Io ho girato tutti i carcere di Italia. Dal Piemonte fino alle isole. L’Asinara, Pianosa, Regina Coeli, davvero di tutto. Prima non c’erano i carceri speciali ma quelli duri. E io ce stavo a pennello nel carcere duro perché ero un ribelle. Ero insofferente alla disciplina. Ancora oggi mi porto dietro i segni di quegli anni. Ma ti sto parlando dei segni fisici! Ho le braccia piene di tagli. Mi tagliavo sulle braccia per farci valere. Il carcere è una scuola… una scuola di crimine, e su questo non c’è dubbio.

E la Banda della Magliana nacque in carcere?

Alcuni dicono che la banda della magliana è nata con il rapimento Grazioli. Ma che cazzo dicono? Ma che stronzata è questa? Io, Antonio Mancini, arrestato per una rapina allo stabilimento Montedison con mitra, pistole, dovevo rapire a uno per avere i soldi necessari a comprare le piazze di spaccio?

Ma che se ne andassero a fanculo!

Grazioli non c’entra un cazzo. La banda è nata maggio 1975!

Mo’ te spiego: In carcere avevo conosciuto ‘sto Nicolino Selis. Eravamo due ragazzi e ci tagliavamo insieme come te dicevo prima. Avevamo un bel rapporto. Fu lui a propormi l’ideazione della Banda della Magliana. Perché ne parlò con me della banda? Perché io, quando lui era in carcere e io fuori, lo aiutavo moltissimo. Per esempio, Nicolino non pippava, però la cocaina in un carcere è importante perché ti eleva. Non so se mi spiego. Come ti elevano i soldi, le coltellate, i gesti estremi. Io gli mandavo una cifra di vestiti firmati e, quando mi arrestarono alla rapina alla Montedison, lui subito mi accolse come un fratello. E fu lì che mi disse che voleva riunire tutte le batterie che c’erano a Roma, prendere i migliori uomini e creare una organizzazione unica. Nicolino mi disse: “che cazzo c’hanno i camorristi e i calabresi più di noi? Che ci vuole ad ammazzare a uno? Dobbiamo scegliere i migliori però. E non cacceremo nessuno, ma quando verranno a Roma dovranno trattarci da padroni.” Durante la detenzione io e Nicolino avemmo uno screzio con un certo Franchino Er Criminale, che era quello che comandava l’affare dei cavalli a Roma. Poco dopo da Regina Coeli ci fu una evasione, tra i quali fuggirono Selis ed Edoardo Toscano, che erano già dentro al progetto della Banda della Magliana. Quando Selis e Toscano evasero furono appoggiati e ospitati dal gruppo di Giuseppucci Er Negro – per quelli che se so visti il film Il Libanese -. Parlando tutti insieme venne fuori che Selis voleva ammazzare Franchino e che Giuseppucci Er Negro voleva prendere in mano i cavalli, allora ci dicemmo “riuniamo i gruppi e ammazziamo questo pezzo de merda!” e da lì partì la banda della Magliana. Fu un susseguirsi di eventi che ci portarono a unirci. ‘Ste cose nessuno le sa e sai perché? Perché pensano tutti che la verità sta nel film o nella serie. Pensa che quando parlo con i ragazzi delle scuole, tutti mi vengono vicino e mi chiedono dov’è lo sfregio. Io dico: “Ma quale sfregio?”. Loro sono convinti che dato che nella serie, il mio personaggio ha uno sfregio in faccia, io ce l’abbia per davvero.

Chi erano i personaggi più influenti della Banda della Magliana?

La banda della Magliana non aveva nessun capo. Poi è chiaro, c’erano quelli che avevano un carisma più spinto come Er Negro Franco Giuseppucci o come Danielo Abbruciati, che veniva da reati molto pesanti. Quando ci riunivamo per una discussione io, Toscano, Colafigli, Giuseppucci e tutti gli altri, avevamo la stessa voce in capitolo. I personaggi diciamo così, più carismatici, erano una decina. Poi successe che Selis a un certo punto si fece capo da solo. Voleva far entrare gli amici di Cutolo nei nostri giri e aveva cominciato a chiedere di ammazzare la gente per conto dei napoletani. Chiese di uccidere addirittura Renatino De Pedis. Noi pensammo questo è scemo? Siccome i capi non ci dovevano essere noi lo abbiamo eliminato subito. A lui e al cognato. Tornando alla banda della Magliana, nella banda ognuno aveva un ruolo. Io avevo il compito che veniva chiamato strizzatorti. Per via del nome che proveniva dalle mie azioni criminali. Io ero quello che affrontava la gente de strada, che doveva andarsi a prendere le periferie. Andavo dagli spacciatori a imporre il nostro nome. Gli dicevo: “Devi comprà dalla Banda della Magliana!” Se accettava bene, se non accettava veniva eliminato. Il ruolo degli altri? Mentre noi della Magliana eravamo banditi di strada, Renatino de Pedis per esempio, voleva diventare un bandito-imprenditore e ci era pure riuscito. De Pedis, se non fosse stato ammazzato, oggi stava al Parlamento. C’aveva ‘na classe… e poi: uno che ha fatto quello che ha fatto ed è morto incensurato? Dai… Insomma: tutto era partito da Selis, poi era stato allargato con Giuseppucci. Ucciso Giuseppucci, Abbrucciati diede potenza al giro con le sue conoscenze; morto Abbrucciati arrivò De Pedis, che trasformò una banda de banditi nel sistema di Mafia Capitale. Ucciso Renatino, il sistema l’ha portato avanti Carminati. E questo è tutto arrivando fino ad oggi insomma.

Che rapporti c’erano tra la Banda della Magliana e la Camorra?

Te posso parla’ de Michele Senese! Quando Michele uscì dal carcere per esempio, chiese il nostro appoggio a Roma. Anche Contini si muoveva a Roma. Oppure O Califfo che mi diceva: “Totò abbiamo bisogno di cocaina a Napoli.” E io facevo subito scendere i miei a Napoli per la coca. Poi, per quello che sono le mie conoscenze più dirette, noi avevamo contatto con Ciro Mazzarella, che avevo conosciuto nelle carceri. E poi noi della Banda facevamo affari co’ tutti. Durante le guerre di Camorra per esempio, noi non ci schieravamo da nessuna parte. Non ce ne fotteva un cazzo di Bardellino o Cutolo, facevamo affari con tutti quanti. Avevamo rapporti sia con quelli di Bardellino attraverso Michele Zaza e sia con Cutolo, attraverso Claudio Sicilia, che era di Giugliano. Io ho conosciuto Iacolare, Casillo, Oreste Pagano, noi avevamo rapporti buoni con tutti, ma nessuno poteva venire a dettare legge a Roma. Mo’ te racconto una cosa: una volta un gruppo di camorra ci propose uno scambio di droga. Lo scambio doveva essere roba per roba. Andammo sul luogo dello scambio e al posto della droga loro ci portarono i soldi. Io li bloccai perché questo significava che comandavano loro. E allora gli dicemmo che lo scambio era roba per roba e basta! In molti a Napoli volevano la droga da noi, perché stare nel Sistema ha ovviamente dei limiti. Allora c’era chi veniva a rifornirsi da noi così poteva fare il cazzo che gli pareva.

Che differenza noti con la malavita napoletana di oggi?

Ma la paranza c’è sempre stata. Solo che all’epoca non sparavano. La paranza, oggi, serve per continuare a far fare soldi alle grandi famiglie di Camorra, spostando l’attenzione su cose di opinione pubblica, come per l’appunto la Paranza che spara. Ma i boss, nel frattempo, continuano a fare soldi a palate.

Come mai hai deciso di pentirti?

Sì, sono diventato infame. Perché è quello che sono diventato! Tutta la storia sui pentiti e cose così non mi ha mai convinto. La verità è che mi avrebbero messo di nuovo nelle carceri speciali e non avrei visto mia figlia. Non me l’avrebbero manco fatta toccare. Solo per questo. Adesso lei abita non molto distante da me. Bello no? Il punto è che io c’avevo ‘na villa di 4 piani e ora sono tornato povero come quando ero ragazzo. Sono consapevole delle scelte che ho fatto e che faccio. Pensa che c’avevo 9 macchine. Tutte insieme eh. Partivano dalla 500 abarth fino alla Ferrari. Di giorno, quando voleva fumare una canna, mi divertivo a farmi correre dietro dalle guardie con una Giulia truccata. C’erano esagerazioni. A un certo punto mi sono reso conto che l’uomo intelligente era mio padre! A me alla fine cosa mi è rimasto? Io dietro c’ho i morti, le scopate, e poi? Dietro non c’ho un cazzo. Perciò quando qualcuno mi chiede di andare avanti, io gli dico ma vaffanculo! Io non posso dimenticare! E poi sì, c’avevo la villa di 4 piani, due camerieri, ma ero isolato. Ma che cazzo di vita è? Io non sono uno buono. E manco il denaro conta un cazzo. Io non c’ho na lira. La verità è che me li so’ spesi tutti quando facevo il bandito. I miei amici mettevano i soldi in banca e io mi incazzavo. Gli dicevo: ma che siete stronzi? Abbiamo fatto ‘na rapina per non lavorare e voi mettete i soldi in banca? Avevo i Night Club, le donne, la cocaina che neanche mi risparmiavo. Avevo tutto ma è come se non avessi avuto mai niente. Ora presto servizio per un’associazione di disabili,  Annfas, e sto bene così. Ho imparato molte cose in questi anni. Io, alla fine, ho solo fatto un percorso, il percorso dell’uomo no? Io sono nato onesto, ho fatto il bandito, ho ammazzato la gente, e adesso aiuto le persone. Sono la prova vivente che è una cazzata che chi nasce quadro non può morire tondo!

Questa intervista è stata realizzata nel 2016.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *